LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI O SAPERE O NON VOLER SAPERE"
aggiornata il Primo aprile 2012

 

 

Vieni da Lacan

Sei in "Lacan intuizionista"

Vuoi andare all'aggiornamento?

Lacan era intuizionista?

Nel 1997, in occasione di un congresso alla Columbia University sulla sessuazione (“sessuazione” è termine lacaniano per dire l’assunzione soggettiva del sesso), sviluppai il tema del possibile intuizionismo di Lacan. Cosa me ne aveva dato lo spunto?

I cosiddetti matemi della sessuazione.

Cioè?

Nel seminario Encore del 13 marzo 1973, pasticciando con i quantificatori logici universale ed esistenziale (e commettendo errori di ortografia prontamente rilevati da Alain Sokal nel suo Imposture intellettuali), Lacan presentava una tabella, che da matematico semplifico:

A vs non A

B vs non B

Questi asserti, enfaticamente detti matemi, avrebbero dovuto differenziare i sessi degli esseri parlanti (i cosiddetti parlesseri), passando dalla colonna di sinistra (maschile) a quella di destra (femminile).

Commentando la tabella, Lacan dice che in logica A e non A, come B e non B, non stanno insieme, essendo contraddittori. Pare che dica che tra A e non A, come tra B e non B, non può figurare nessun connettivo logico: non la congiunzione (et), non l’implicazione (se… allora), non la disgiunzione (vel).

Ecco il punto che mi ha intrigato. A vel non A, invece, vale in logica classica, dove rappresenta il principio ontologico del terzo escluso (TE). Non vale, per contro, in logica intuizionista dove il TE, insieme alle sue conseguenze (per es. la doppia negazione forte), sono sospesi.

Lacan propone, allora, l’intuizionismo non ontologico come logica della sessuazione?

Questa era la domanda – Lacan era intuizionista? – che, da cultore dell'intuizionismo (dal 1988), mi ponevo. Risposta: probabile, ma non certo. E' più verosimile che, elucubrando i matemi della sessuazione, Lacan pensasse a una logica dello stato d’eccezione, del tipo di quella che sarebbe presupposta da Freud nel suo mito (darwiniano?) dell’orda, dove tutti sono castrati (i fratelli, B = per ogni x. F(x)), ma uno non lo è (il Padre, A = esiste un x. non F(x)). Se fosse così, vale la pena notare – a conferma della posizione dottrinaria di Lacan – che la logica del Tutto e dell'Eccezione è un bel pezzo di teologia. Non a caso è rievocata da autori come Kierkegaard in filosofia, Schmitt in politica e recentemente da Agamben in biopolitica all'italiana (cfr. la serie Homo sacer).

Prendendo spunto dal riferimento di Zizek a Hegel, ho trattato l’argomento in appendice alla mia traduzione del libro di S. Zizek, L’isterico sublime. Psicanalisi e filosofia, Mimesis, Milano 2003, p. 205, A proposito del Tutto e dell'Eccezione.

Qui, in alternativa alla logica teologica, propongo due letture dei matemi lacaniani:

una intuizionista e l'altra insiemistica.

Lacan cita l’intuizionismo nel seminario Encore del 10 aprile 1973, successivo a quello appena commentato. Probabilmente ne sapeva qualcosa. La lettura intuizionista delle formule lacaniane, che non sono del tutto aberranti, salva il principio di non complementarità. I due sessi non sono due parti complementari, che messe insieme, restituiscono l'Uno-Tutto. Contro il proprio logocentrismo, Lacan stesso propone una concezione della sessualità dove non vale la legge dell'Uno, nella fattispecie del terzo escluso. Non si può dire, delle due l'una: o maschio o femmina. Sull'identità maschio si può essere relativamente sicuri, magari aiutandosi con certe appendici organiche, ma sulla femmina bisogna andare con i piedi di piombo. In particolare, non si può affermare che se un soggetto non è maschio, allora è femmina. La femminilità, intuizionisticamente parlando, è una costruzione esistenziale che si performa di volta in volta nei casi particolari. Non esiste la femminilità prêt-à-porter. Non è un vestito già fatto che si indossa e via, la femminilità.

Per saperne di più sull’intuizionismo lacaniano consulta il mio saggio originale, Lacan era intuizionista? (versione inglese), che non fu mai pubblicato, perché gli atti di quel congresso newyorkese, per discordie tra scuole, non uscirono mai. (La storia del movimento analitico si ripete in modo noioso e penoso.)

Tuttavia, da critico di Lacan, mi sembra che qualcosa di meglio, di meno teologico e di più positivo si possa dire per salvare parzialmente la speculazione lacaniana sulla sessuazione. La quale ha un punto debole di partenza. Vale la pena sottolinearlo, nella generale disattenzione e indifferenza del lacanismo ufficiale alla problematica del corpo.

Lacan tenta di spiegare la sessualità con formule astratte, senza far riferimento al corpo. Propone formule per una sessualità incorporea. Nei matemi A e B compaiano la funzione fallica (phi), gli argomenti relativi ai parlesseri (x) e i quantificatori logici, per ogni ed esiste almeno uno.

Ma non compare mai il corpo.

L'esercizio di astrazione può riuscire parzialmente utile nello spiegare la sessualità maschile, che è fallica, in un certo senso fuori dal corpo. Ma fallisce sulla sessualità femminile, come già Freud fallì con la sua invidia del pene. Entrambi gli autori, infatti, non hanno una teoria del corpo. Freud perchè pensava in termini pulsionali, quindi finalistici - ma il collocamento topologico delle pulsioni alla soglia tra anima e corpo era giusto! Lacan perché era fenomenologo sui generis. Avendo, per ottime ragioni, gettato l'acqua sporca dei vissuti (Erlebnisse), buttò via anche il corpo del bambino. (Alla lettera, non parlò mai di sessualità infantile).

Tuttavia, qualcosa si può salvare del tentativo lacaniano di formalizzazione. La matematica non è mai tutta sbagliata. Una dimostrazione o un teorema sbagliati possono indicare vie giuste di ricerca. Anche quando si fa della matematica impropria - i matemi servono a Lacan solo a codificare la propria dottrina per meglio trasmetterla agli allievi - un po' di carne della verità resta appiccicata alle formule astratte.

Penso alla proposta lacaniana del non tutto, come strumento logico per trattare il femminile. Comincerei cambiando il nome. Non è una modifica solo formale, ma sostanziale. Si tratta di pensare il femminile come un universale che non è uno. Quindi non uno più che non tutto.

Lo strumento giusto per questa analisi lo offre la teoria degli insiemi nell'assiomatizzazione proposta da von Neumann, Gödel e Bernays. Una riduzione dell'articolo originale di von Neumann, la puoi trovare in J. von Neumann, Un'assiomatizzazione della teoria degli insiemi, "aut aut", 280-281, 1997, pp. 107-123, preceduta dalla mia introduzione L'assiomatizzazione infinita, "aut aut", 280-281, 1997, pp. 93-106. Per l'articolo originale di von Neumann (traduzione e testo tedesco a fronte) clicca qui.

Si tratta di distinguere due sottoclassi della classe di tutte le classi: le classi proprie e gli insiemi. Una classe propria è una classe tale che non esiste la metaclasse cui appartiene come elemento. Un insieme è una classe tale che esiste la sovraclasse cui appartiene come elemento. Le classi proprie sono degli universali che non si unificano, nel senso che non diventano mai un elemento di un'altra classe. Gli insiemi sono universali che si unificano, nel senso che possono essere prese come un elemento di un'altra classe, per esempio l'insieme di tutti i sottoinsiemi di un insieme.

(Tra parentesi, questa restrizione porta a limitare il processo che fa passare da un insieme al proprio insieme potenza, o insieme delle parti, e che conduce alla contraddizione della classe totale. La classe totale non si puo "esponenziare" perchè è una classe propria.)

Sono classi proprie il linguaggio ("non esiste metalinguaggio"), il paterno, il femminile e tante altre. Questa semplice formalizzazione consente di ritrovare come teorema l'assioma lacaniano dell'inesistenza del rapporto sessuale.

Infatti, ammettiamo per assurdo che il rapporto sessuale accoppi il femminile al maschile nell'insieme (maschile, femminile). Ma questa è una contraddizione, perché il femminile non appartiene ad alcun insieme, essendo una classe propria. Quindi il rapporto di coppia non esiste.

Detto per gli umanisti: il femminile non è un concetto. E' non uno. Ma, così, non si è ancora detto nulla della collocazione del femminile nel corpo. Questo è un tema di ricerca impegnativo. Gli analisti dovrebbero fare più ricerca, invece di preoccuparsi di come trasmettere integralmente ai propri catecumeni la dottrina ricevuta.

Il problema della trasmissione non si pone in ambito scientifico. La scienza si trasmette tentando di confutarla. E' successo così persino nella trasmissione del testo canonico dell'ortodossia geometrica, gli Elementi di Euclide, il libro più tradotto e commentato dopo la Bibbia e il Corano. Con la scusa di contestare il postulato delle parallele - il postulato dell'infinito - le generazioni hanno copiato per secoli i successivi 13 libri. Il problema della trasmissione è un artefatto di scuola, dove il dogmatismo inibisce qualunque tentativo di confutazione e ammette solo il commento pedissequo.

La ragione strutturale per cui la trasmissione della verità sottosta in campo scientifico a leggi diverse da quelle vigenti in campo dottrinario non è molto lontana dal problema della femminilità. Lo dice in metafora il filosofo. Vorausgesetzt, daß die Wahrheit ein Weib ist, "posto che la verità sia una donna" (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Prefazione (1886)). Considerazioni meno metaforiche si possono articolare a partire dal teorema di incompletezza semantica di Tarski, secondo cui non si può definire in modo non contraddittorio un predicato "verità" che dica la verità di ogni enunciato (A. Tarski, "The Concept of Truth in Formalized Languages" (1931-1933), in Logic, Semantics, Metamathematics, trad. J.H. Woodger, Clarendon Press, Oxford 1956, pp. 152-278).

Detto in breve, Tarski propone una definizione metalinguistica di verità. "La neve è bianca" è vera (nel linguaggio oggetto) se e solo se la neve è bianca (nel metalinguaggio). Dopo di che, usando un argomento simile al paradosso del mentitore, Tarski dimostra che non esiste un predicato "verità", il quale per ogni enunciato del linguaggio oggetto dica che è vero se e solo se è vero. Nei termini di cui sopra, il linguaggio è una classe propria. Non è unificabile da una proprietà caratteristica, per esempio dalla verità. La verità parla da sola. Non può essere forzata a dire la verità neppure su se stessa. Non si iscrive come dogma in nessun libro scolastico. Insomma, la verità esiste (dire che non esiste si autoconfuta), ma non può essere codificata. In questo senso è parzialmente giustificata la prosopopea di Lacan: "Moi, la Vérite, je parle".

Lungo questa linea teorica, a un livello di astrazione maggiore - dalla femminilità alla verità, dalla verità all'Uno - ci sarebbe molto da dire anche sulla filosofia dell’Uno, y’a d’l’Un, detto alla Lacan, in quanto eccezione singolare che regola il generale. Ne ho scritto qualcosa in L’“unfinito”, ovvero l’uno, gli uno e l’infinito, “aut aut”, 283-284, 1998, pp. 81-106. Qui ricordo che, secondo Lacan, l’Uno genera la scienza (J. Lacan, Le Séminaire. Livre XX. Encore, Seuil, Paris 1975, p. 116). Si tratta di un errore a metà. Certamente l’Uno genera la scienza precartesiana, non quella cartesiana. Allora,

Lacan prescientifico?

Sì e no, ma più sì che no. Era prescientifico esattamente come prescientifica - ma di ritorno dalla scientificità - è la fenomenologia. La fenomenologia è una filosofia prescientifica, di fatto aristotelica, pensabile solo in epoca postscientifica. Il fenomenologo ha assaggiato la scienza e l'ha sputata, tornando alla fisica ingenua di Aristotele. Allora, si pone giustamente la questione:

Lacan fenomenologo?

Una prima conclusione su Lacan intuizionista.

In senso tecnico, possiamo rispondere negativamente alla questione: “Lacan era intuizionista?”, affermando che in fondo Lacan non fu intuizionista.
Infatti, come Brouwer esplicita chiaramente nelle lezioni di Cambridge del 1946-1951, gli atti mentali, che fondano l’intuizionismo, sono sostanzialmente due ed entrambi esulano dalla dottrina lacaniana.

Il primo atto pone l’attività matematica come intuizione introspettiva del soggetto creativo. Essa, inoltre, risulta indipendente da ogni attività linguistica. Per Brouwer il linguaggio è solo lo strumento – imperfetto – della comunicazione intersoggettiva delle intuizioni matematiche. Tanto basta a differenziare definitivamente la posizione di Brouwer dal logocentrismo lacaniano, codificato per esempio nella formula dell’inconscio strutturato come un linguaggio.

Il secondo atto intuizionista convoca l’infinito potenziale come successione infinita di libere scelte. Il soggetto creativo sceglie liberamente entità matematiche, precedentemente costruite, producendo delle successioni infinite. Più in generale, il soggetto costruisce specie [classi] di successioni (spiegamenti). In Lacan non c’è nulla di simile all’infinita libertà, presupposta da Brouwer. Il logocentrismo è automaticamente finitario, in quanto presume di fissare le leggi del reale. Non si danno, infatti, leggi espresse con un numero infinito di termini, che risulterebbero inapplicabili. Lacan oscuramente avverte ciò e per salvare il logocentrismo postula il reale come impossibile o ciò che non cessa di non scriversi in conformità al logos.

In Lacan si avverte, tuttavia, un’“aura” intuizionista, dovuta al fatto che la psicanalisi, essendo un’attività epistemica, condivide certi movimenti intuizionisti di pensiero, orientati alla costruzione epistemica. (Construction e reconstruction sono significanti ricorrenti negli Ecrits). Un esempio è la decadenza del principio del terzo escluso, inteso come garanzia di “giudicabilità completa”. Se esiste un inconscio protorimosso, il sapere analitico è sempre incompleto. L’incompletezza è un tratto comune al sapere psicanalitico e intuizionista. Oggi si ammette in generale che il sapere scientifico sia incompleto.

In realtà, oltre i due atti fondatori sopra riportati, sono molti gli spunti intuizionisti che Lacan non condividerebbe. Ne cito solo due a mo’ di esempio:
a) la nozione di “soggetto creativo”. Il soggetto lacaniano è sempre secondario al significante, di cui è un effetto.
b) la nozione di successione di libere scelte, non determinate da alcuna legge, quindi svincolate dall’eterna ripetizione dell’identico. Questa nozione è affatto accettabile per il matematico, che sa operare con numeri “senza legge” (senza logos), cioè con numeri che non sono radici di equazioni algebriche, come pi greco o e, ma è imbarazzante per il filosofo logocentrico, che fonda tutta la sua speculazione sulla legge del significante.
L’adozione in questo sito di una forma di logica epistemica di origine intuizionista porta naturalmente fuori dal logocentrismo lacaniano.

Tuttavia – e questo giustifica l’opportunità di affrontare la questione dell’intuizionismo in Lacan – nel lacanismo si conservano, spogliati dal logocentrismo, certi presupposti o conseguenze dell’intuizionismo:
a) la “duità”, cioè il passaggio al successivo in una successione qualunque. Espresso in termini logocentrici, la dottrina la ana traduce il principio della duità nella concatenazione dei significanti, in particolare nel passaggio da S1 (significante principale) a S2 (significante sapere);
b) l’assenza della classe totale, per cui non non ha senso:
b’) né l’intersezione vuota di classi che darebbe la classe universale (Lacan parlerebbe di non tutto);
b”) né il principio di giudicabilità completa (o terzo escluso), che nelle lezioni di Cambridge Brouwer formula così:
Se a, b, c, sono specie [classi] di entità matematiche, con a e b sottospecie [sottoclassi] di c, e b consiste degli elementi di c che non possono appartenere ad a, allora c è identica all’unione di a e b.
c) l’indeterminazione soggettiva. Là dove l’impatto logocentrico del lacanismo è più forte, per esempio nelle sue formule esistenziali negative (non esiste metalinguaggio, non esiste l’Altro dell’Alltro, non esiste rapporto sessuale), e sembra ribadire l’impossibilità di uscire dal linguaggio (non esiste metalinguaggio!), proprio perché la negazione non sempre nega (principio di giudicabilità incompleta), si apre per il soggetto una via d’uscita dal determinismo del discorso del soggetto supposto sapere, per esempio attraverso la funzione della “svista” o del lapsus. (Cfr. la conferenza La méprise du sujet supposé savoir del 1967).

In riferimento all’assioma logocentrico “non esiste metalinguaggio” va precisato che esso è naturalmente falso. Appartiene, infatti, alla serie delle affermazioni autocontradditorie del tipo: “non esiste la verità”. Proprio perché costituisce un’affermazione metalinguistica sul linguaggio, l’enunciato “non esiste metalinguaggio” afferma come vero ciò che vero non è, almeno nel caso autoreferenziale di quell’affermazione.
Tutto sistemato, allora? Derivano da tale assioma solo contraddizioni? Sì e no. Se si abbandona il binarismo logico forte (falso come antitetico di vero) e si sospende il principio del terzo escluso, si guadagna in indeterminismo e spontaneità soggettiva – l’una e l’altro caratteristici della scienza postcartesiana – insieme alla facoltà di tollerare benevolmente assurdità come la tesi lacaniana con il pretesto che siano dei paradossi. Il metalinguaggio non è quella brutta bestia neopositivista, come vogliono farci credere i fenomenologi. Dopo tutto, il predicato “verità” è il portato semantico dell’inclusione del linguaggio nel metalinguaggio. Infatti, l’espressione “la neve è bianca” è vera se e solo se la neve è bianca (Tarski). La neve deve ringraziare il metalinguaggio, se può dire che è bianca. Lungi dal fuorcluderla, quindi, la scienza promuove la verità grazie ai buoni uffici del metalinguaggio.

D'altra parte, se si accetta quella forma di indebolimento binario che è l'assiomatizzazione della teoria degli insiemi di von Neumann, Gödel e Bernays, i quali distinguono tra "classi" e "insiemi", si guadagna la verità di "non esiste metalinguaggio" in forma ristretta. Infatti, dato un linguaggio naturale, non esiste metalinguaggio che lo contenga come elemento. In altri termini, ogni linguaggio naturale non è un insieme, definito da una proprietà caratteristica: il lessico, la grammatica, la sintassi. Lessico, grammatica e sintassi definiscono solo un'infinità discreta del linguaggio (Chomsky), non il linguaggio nella sua totalità, che è una classe propria senza metaclasse che lo contenga come elemento.

Per chi, tuttavia, mal si adatta a una visione scientifica del problema del metalinguaggio e preferisce una trattazione più letteraria allego il bel saggio di Evelyne Grossmann, "Il n'y a pas de métalangage" (Lacan e Beckett), nella traduzione di Dario Giugliano per “aut aut”.

Da ultimo andrebbe aggiunta una considerazione concernente i personaggi a confronto: uno antilogocentrico, l'altro logocentrico. Brouwer e Lacan furono due maestri. Presentarono alla venerazione degli allievi le loro elucubrazioni come dottrina incontrovertibile, il primo in polemica con il formalismo di Hilbert, il secondo in opposizione alla psicanalisi istituzionale. Entrambi commisero lo stesso errore. Credevano e facevano credere ai loro allievi che il formalismo matematico fuorclude il soggetto.

Nel Seminario XVI dell'8 gennaio 1969 con una certa imprudenza Lacan afferma :

"Le formalisme en mathématique est la tentative de soumettre ce discours à une épreuve que nous pourrions définir en ces termes – y prendre l'assurance de ce qu'il paraît bien être, à savoir de fonctionner sans le sujet" (J. Lacan, Le Sèminaire. Livre XVI. D'un Autre à l'autre (1968-1969), Seuil, Paris 2006, p. 96.)

La strategia di questi due autori è tipicamente magistrale e al tempo stesso ingenua – un misto di sciocchezza e pretenziosità. Se la formalizzazione o l'istituzionalizzazione fuorcludono il soggetto, compito del loro insegnamento sarebbe di reintrodurlo. Peccato che la loro mossa sia futile. Il soggetto che vorrebbero reintrodurre è già presente là dove credono che sia assente. Non è, in particolare, là dove Lacan lo cerca, cioè nell'errore soggettivo (ibidem). Il soggetto della scienza abita il laboratorio dell'attività congetturale, là dove produce del falso. Il falso congetturale non è un errore – l'errore soggettivo che Lacan non trova nella matematica – ma è qualcosa di meno vero del teorema. Nel senso intuizionista del termine, il falso congetturale è materiale epistemico non ancora dimostrato. In quanto tale si dimostrerà vero, se produrrà la propria dimostrazione o altre congetture. Ne parlo nella lezione tenuta a Maastricht l'8 novembre 2009 nell'ambito del convegno tenutosi presso la fondazione Van Eyck sotto il titolo Form and Formalism. Il titolo della lezione era

No Math, no Science, no Psychoanalysis (English version)

e presenta una reinterpretazione dell'intuizionismo di Brouwer come logica epistemica, adatta a formalizzare il funzionamento dell'inconscio freudiano.

Torna a inizio pagina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SAPERE IN ESSERE

SAPERE IN DIVENIRE

Torna alla Home Page